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La Sala del Colosso
Panoramic view Sala del Colosso

La Galleria accoglie i visitatori nella Sala del Colosso, completamente riallestita a Dicembre 2013 per accogliere un consistente nucleo di opere pittoriche quattrocentesche e di primo Cinquecento. Il nome della sala era originariamente riferito alla presenza di uno dei modelli in gesso dei Dioscuri di Montecavallo esposti in Galleria fino a inizio Novecento. Al centro, la Sala ospita oggi il modello in gesso di Giambologna per il Ratto delle Sabine, virtuoso esempio di scultura cinquecentesca, il cui originale è collocato sotto la Loggia dei Lanzi. Le pareti della sala presentano una ricca densità espositiva di dipinti di autori del XV e XVI secolo come Paolo Uccello, Filippino Lippi, Botticelli, Domenico Ghirlandaio e Perugino, disposti su quattro lati e due nuove pareti aggiuntive autoportanti. Molte di queste opere provengono da chiese e conventi della città di Firenze.

Sulla parete d’entrata

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La parete a destra dell’ingresso presenta la Tebaide di Paolo Uccello, opere giovanili di Sandro Botticelli e tavole a soggetto sacro di piccolo formato. Curiosa e inconfondibile è la forma allungata del pannello dipinto in posizione centrale. Si tratta di un cassone nuziale, noto come il Cassone Adimari (ca 1450) attribuito allo Scheggia. Il cassone riproduce, come in un’istantanea, un corteo nuziale che si svolge fra strade e monumenti del centro di Firenze, dove ben riconoscibile vi è il Battistero, presentando una vera parata di costumi alla moda della Firenze del Quattrocento.

A sinistra del cassone, da non perdere, un’opera di piccolo formato, ricca di preziosi dettagli attribuita a Botticelli, la Madonna del Mare (ca 1475-1480), proveniente dal convento di Santa Felicita. Deve il suo nome al paesaggio marino dipinto sullo sfondo dolcemente sfumato e all’attributo mariano sul mantello blu della Vergine, la scintillante e divina “Stella Maris”. A lato è oggi collocata un’altra opera di Sandro Botticelli: la Madonna con Bambino con San Giovannino e due angeli (1470), considerata sua opera giovanile. Il dipinto, proveniente dall’Ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, mostra chiari segni dell’influenza stilistica di Filippo Lippi, suo maestro, nella luminosa grazia del volto, la trasparenza del velo e le morbide pieghe del panneggio blu della Vergine. Deciso è il tono rosso fuoco dell’angelo cherubino dipinto a lato del manto blu scuro della Vergine e da notare vi è un prezioso dettaglio a conchiglia nella veste della Madonna.

Parete a sinistra

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All’ingresso della Sala del Colosso la parete sinistra accoglie lo sguardo del visitatore con sei pale d’altare che mostrano gli sviluppi della pittura fiorentina del Quattrocento, partendo dalla tavola quadrata di Andrea di Giusto (1437) e culminando con la maturità stilistica della pala di Domenico Ghirlandaio (1493) in fondo alla parete.

Al centro della serie esposta si staglia per dimensione la Trinità di Alesso Baldovinetti proveniente dalla chiesa di Santa Trinita a Firenze (1470). La scena si apre grazie ad un un prezioso drappo bordato di perle lucenti sorretto da angeli che introduce l’osservatore al mistero della Trinità. Al centro della tavola viene presentato il corpo crocifisso di Cristo circondato da una teoria di fiammeggianti angeli cherubini disposti a mandorla. Dio Padre e lo Spirito Santo sono raffigurati al di sopra e dietro la croce, che poggia su un teschio. Si tratta di un simbolo teologico molto profondo che rappresenta il cranio di Adamo e la redenzione. Il sangue di Cristo, bagnando il cranio del primo uomo, determina infatti l’opportunità che tutti i suoi discendenti possano essere redenti.

A fianco della Trinità è stata recentemente collocata la famosa Pala del Trebbio di Sandro Botticelli, proveniente dalla villa medicea del Trebbio (prima del 1497), probabilmente commissionata da Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici. Si riconoscono nella Sacra Conversazione attorno alla Vergine i santi protettori della famiglia Medici, S. Cosma e S. Damiano vestiti in tono porpora, spesso legati alle committenze medicee.

All’estremità di questa parete è da segnalare una solenne pala d’altare, poiché collegata alla formazione pittorica del giovane Michelangelo, che fu allievo nella bottega del Ghirlandaio all’età di circa 14 anni. Del maestro è esposta qui una tavola proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi. I tre santi dipinti, S. Giacomo Maggiore, S. Stefano e S. Pietro, sono inseriti di fronte a monumentali e profonde nicchie costruite prospetticamente insieme al pavimento in marmo su cui poggiano. Colpiscono per la solidità dei volumi, la ricerca delle fisionomie e la morbidezza dei panneggi dai toni vivaci. Ghirlandaio fu di fondamentale importanza per il giovane Michelangelo per lo studio delle tecniche pittoriche, sia su tavola che a fresco. Benchè egli fu apprendista alla bottega di Ghirlandaio per pochi mesi soltanto, quel legame sincero fu prezioso per tutta la sua carriera, specialmente durante gli anni della decorazione ad affresco della volta della Cappella Sistina (1508-1512).

Parte centrale della parete a destra

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La risistemazione complessiva dei dipinti permette oggi di sedersi comodamente vicino al modello del Giambologna per osservare con calma le tre più grandi opere pittoriche esposte nella sala. Da Dicembre 2013 è possibile ammirare la ricomposizione parziale della grandiosa pala dipinta nel 1500 da Pietro Perugino per l’altar maggiore della Chiesa dell’abbazia benedettina di Vallombrosa, raffigurante l’Assunzione della Vergine fra angeli e Dio Padre, con quattro Santi. Ai piedi della grandiosa tavola, a lato della ricca cornice perduta sono esposti oggi i ritratti dei monaci vallombosani Don Biagio Milani e il monaco Baldassarre, splendidi esempi di ritrattistica dell’epoca. Raffinati sono i panneggi morbidi delle vesti e ricercati sono gli strumenti musicali suonati da angeli musicanti a fianco della Vergine. Nel registro inferiore dell’opera sono raffigurati da sinistra, S. Benedetto, S. Bernardo degli Uberti, S. Giovanni Gualberto e uno stupefacente San Michele Arcangelo in armatura luminosa e sofisticata. Avvicinandosi all’opera per curiosare fra i dettagli si puo’ nitidamente leggere la firma del pittore “PETRVS PERVGINVS PINXIT A.D. MCCCCC” sul bordo inferiore e alzando gli occhi, in controluce, si nota la chiara disposizione delle assi di legno assemblate per creare il supporto ligneo della tavola.

La Pala di Vallombrosa è affiancata sulla destra dalla Resurrezione di Raffaellino del Garbo e sulla sinistra dalla magnifica Deposizione di Cristo dalla Croce. Questa pala d’altare proveniente dalla Chiesa della Santissima Annunziata a Firenze fu iniziata nel 1504 da Filippino Lippi nella parte superiore e completata, in seguito alla morte del pittore sopraggiunta a fine 1504, dal Perugino nel 1507, cui è attribuita l’esecuzione di tutta la parte inferiore del dipinto. Sono tipiche della maniera di Filippino l’affollarsi dei corpi sulle scale, i sinuosi nastri rosa mossi dal vento, la concitazione dei personaggi nella parte alta del dipinto. Pià composti invece sono i personaggi completati da Perugino nella parte inferiore, dove colpisce il contrasto fra i tre chiodi scuri ed il manto rosso cremisi su cui sono poggiati.

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